Era una dimensione parallela, quella degli alberghi diurni: sotterranea e parallela alla pavimentazione delle piazze urbane più frequentate, all’asfalto degli spiazzi nei pressi delle stazioni, alla superficie delle città.
Questi luoghi avvolti dal fascino dei tempi andati, in Italia si svilupparono a partire dagli anni Venti, quando l’ingegnere bolognese Cleopatro Cobianchi decise di importare le strutture innovative viste in un recente viaggio in Inghilterra.
Si trattava di spazi progettati per offrire “a chi viaggia e a chi non viaggia” una molteplicità di servizi legati per lo più all’igiene personale, in un’epoca in cui le abitazioni che avevano un bagno in casa erano davvero poche. Ma i lieu d’aisance non offrivano soltanto bagni in vasca, docce, gabinetti da toilette, barbiere, parrucchiere e manicure: erano moderni centri benessere e ambienti di svago, sempre corredati delle più varie attività commerciali.
Il successo fu notevole. I diurni rispondevano a bisogni sentiti dai cittadini: a chi viaggiava nei poco confortevoli treni e a chi non si muoveva dalla città ma voleva distrarsi per qualche ora. Anche Bergamo aveva un albergo diurno, tornato recentemente agli onori della cronaca per il progetto del Comune di Bergamo che interessa gli spazi dove era collocato, sotto Piazza Dante.
La nostra città accolse questo tipo di struttura alcuni decenni dopo rispetto agli altri centri italiani: era il 1950 e il diurno fu collocato nell’area di un rifugio antiaereo che era stato ricavato sotto la piazza nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Nel vasto spazio sotto il centro piacentiniano, oltre ad attività dedicate all’igiene personale c’erano vari servizi: un lustrascarpe, un giornalaio con annessa libreria, un servizio di dattilografia, un guardaroba, una stireria, un calzolaio, un telefono pubblico… 1200 metri quadrati perfettamente organizzati con un sistema di areazione e dispositivi di sicurezza all’avanguardia.
La frequentazione era varia, vi si incontravano persone di tutte le classi sociali: distinti signori che venivano qui per “barba e capelli”, giovani che dopo il lavoro si incontravano per una sfida a biliardo, studenti che bigiavano e si davano appuntamento al piccolo bar sotterraneo.
La piazza sotto la piazza fu attiva fino al 1978; come gli altri alberghi diurni, quando tutte le case ebbero bagni privati, perse la sua principale ragione d’essere e chiuse i battenti. Oggi possiamo solo immaginare l’epoca di massimo splendore di questo mondo perduto… quando, nel lungo corridoio offuscato dal fumo di sigarette, all’improvviso si sprigionava un fresco profumo di sapone; si sentivano il tintinnio dei cucchiaini e delle tazzine del bar e il vociare dei clienti dei negozi e, dietro le porte dei bagni, lo scrosciare dell’acqua si confondeva con le melodie cantate da chi – sotto la doccia, e forse un po’ stonato – intonava la canzone del cuore.
Livia Salvi